“Siamo come quando si rivoltano le tasche
siamo tasche rivoltate dalle quali escono briciole
di pane
di fazzoletti di carta che hai dimenticato di togliere prima della lavatrice
5 euro a sorpresa
l’orecchino che pensavi di aver perso
Siamo cose perse e ritrovate a sorpresa nel risvoltarci, nel rivoltarci”
Io… io ho un buco. Qui. In mezzo alla pancia. Non so bene quando è spuntato. So che prima non c’era. Ero io, tutta intera. Poi all’improvviso ho sentito come uno spiffero. Avete presente quando si lasciano le finestre leggermente aperte d’inverno? O semplicemente quando da sotto la porta un filo di freddo striscia per entrare in casa? Ecco. Questa sensazione di essere attraversata da un filo freddo. Ad un certo punto lo spiffero è diventato la bora baltica e ho dovuto alzare il vestito. Il buco era lì, nero come l’inchiostro, come la pece nero, nero come… E uno cosa può fare quando vede un buco in mezzo alla pancia? Non potevo mica andare dal mio dottore e dirgli “Scusi dottor Pasqualini, Ho un buco qui”. Ho provato a cancellarlo… ma un buco non si cancella. Un buco si tappa. Forse. E comunque questo buco è ancora qui. Ecco. E credo di esserci caduta dentro.
Forse tutti sono caduti in un buco almeno una volta nella vita; ci sono buchi piccoli come capocchie di spillo, ci sono buchi grandi come tombini, come crateri, come voragini o buchi neri. Il Buco è la storia di qualcuno e di tutti, è la storia di chiunque ha vissuto momenti difficili e ha sentito il mondo corrodersi attorno a sé o ha sentito sé stesso sparire. Il buco può essere un lutto, un trauma, una perdita, un vuoto, un inciampo, la depressione, una crisi esistenziale, un disturbo alimentare. Non importa che volto, che nome assuma questo gigante invisibile di fronte al quale ci si sente un peso piuma. Si sta lì, a pugni alzati, soli, senza parole per poter spiegare e chiedere aiuto. E se invece bastasse abbassare la guardia? Se dal nero potesse farsi largo un filo di luce?